“Carissima, il 14 agosto festeggerò il mio compleanno con un pranzo alle Cucine Popolari, mangeremo tutti insieme: i miei invitati e i volontari. Non c’è bisogno di regali, io penserò al dolce e allo spumante, voi, se lo vorrete, potrete lasciare un’offerta a sostegno di questo bel progetto”.
E così sulla scia di un moderno invito whatsapp mi ritrovo in questa giornata di agosto in una delle sedi delle Cucine Popolari, un’idea che nasce da un pensiero semplice: dare da mangiare a chi è in situazione di difficoltà. Ori, la festeggiata nonché ideatrice di questo pranzo, ha un’innata capacità di tessere relazioni: sa far legare persone sconosciute con nodi stretti e sa far innamorare quelle persone degli stessi progetti di cui si è innamorata lei.
Mentre aspettiamo davanti all’ingresso che arrivino gli altri invitati, un ragazzo che ha appena finito il pasto esce, ci saluta e mentre fa per andarsene dice “Roberto god bless you”. Roberto è Roberto Morgantini, un uomo dagli occhi chiari e un sorriso accogliente, non solo uno degli invitati, bensì colui che per primo ha creduto nella forza dei pensieri semplici. E ci ha creduto tanto da decidere di sposarsi, a quasi settant’anni, chiedendo agli invitati un’offerta per la realizzazione delle cucine come regalo di nozze.
Si mangia e si chiacchiera e verso la fine del secondo, Roberto ci racconta delle Cucine Popolari con parole semplici e forti, come semplice e forte è questo progetto. Ci tiene a dire che tutte le persone che lavorano lì sono volontarie: nessuno percepisce uno stipendio e i fondi che utilizzano provengono da donazioni non istituzionali. L’integrazione, il prendersi cura dell’altro sono risposte semplici e alla portata di tutti, ma proprio tutti: anche dei bambini. Sì, perché tra i vari progetti che portano avanti ne hanno in campo uno con le scuole del quartiere in cui bambini e bambine di quarta e quinta elementare vengono in visita alle Cucine, aiutano a servire ai tavoli e chi non serve parla con le persone che si recano lì per il pranzo. Mi viene in mente una carissima amica, di sensibilità e delicatezza rare, che mi ha confidato di aver sempre avuto un’ancestrale paura dei “barboni”, della gente che vive per strada, che per strada dorme. Che bello sarebbe stato se la bambina che era avesse potuto godere della ricchezza di un progetto del genere! E com’è semplice in fondo, quasi banale, la soluzione alla paura dell’altro! La ricetta è sempre la stessa, fatta dagli stessi ingredienti: la conoscenza, la condivisione, che si tratti di una parola o di un pasto.
“Adesso vorrei dire qualcosa anch’io” esordisce Ori “Oggi sono davvero felice e “felice” è un aggettivo che sono solita usare con parsimonia. In questo posto io mi sento a casa, si sentono a casa tutte le parti di me, anche quelle che può capitare a volte che in una persona si scontrino: cervello, cuore, mente, pancia. Io non vengo qui a fare del bene, io vengo qui perché sto bene. Semplicemente perché quello che succede qui corrisponde alla mia personale visione di come dovrebbe essere il mondo”.
Semplice e forte. Grazie Ori. E auguri
“In tanti fraintendono il significato di “potere della gente”. Prima di tutto “la gente” non è unita di per sé, e la frase non si riferisce a un potere fisico. Non si intende il potere di resistere ai proiettili o agli attacchi dei droni. Quel tipo di “potere della gente” può essere abbattuto facilmente. Il vero potere della gente è il potere della memoria e della resistenza. Il potere di dedicarsi l’uno all’altro, il potere della responsabilità”.
(dall’articolo di Laurie Penny
“Prendersi cura degli altri è la rivoluzione secondo Naomi Klein”)